8 C
Campobasso
domenica, Novembre 16, 2025

Terza pagina, il mondo dei poeti visto dalla buca delle lettere

Idee e opinioniTerza pagina, il mondo dei poeti visto dalla buca delle lettere

Italian poet Salvatore Quasimodo, (1901 - 1968), who won the Nobel prize for literature in 1959.  Original Publication: People Disc - HK0021   (Photo by Keystone/Getty Images)

di CLAUDIO DE LUCA

I poeti e gli scrittori contemporanei non scrivono più lettere d’amore. Oggi, artisti o no, usiamo tutti gli “sms” o la “chat” di “Facebook”, utilità ben più immediate. Perciò le ultime epistole resteranno quelle di Quasimodo vergate per la Cumani, quelle di Campana dirette alla Aleràmo e quelle con cui Guido Gozzano si rivolgeva alla Guglielminetti.
Il grande campione del genere rimane Gabriele d’Annunzio con le sue mille e più lettere scritte a Barbara Leoni, una delle sue tante amanti. Non scherzava manco il Carducci; e, a leggere queste missive, si ricava l’impressione che i poeti non scrivessero alle loro donne quanto piuttosto ai futuri lettori, tale è lo studio che traspare da certe pagine, i cui contenuti mostrano di mirare ben al di là delle destinatarie. Messaggeria d’altro genere fu quella che Benito Mussolini destinava al Re. “Maestà, credo che dovrete ingoiare questo limone”, scriveva a Vittorio Emanuele III dopo la firma del patto d’acciaio con la Germania nazista. Ma non alludeva a questo, bensì all’opportunità di conferire il Collare dell’Annunziata a von Ribbentrop, Ministro degli esteri germanico. Il “collare” era la maggiore onorificenza sabauda e rendeva l’insignito cugino del Re. Perciò diventarono suoi “parenti” stretti Farinacci, Grandi, Balbo e molti altri. Al “collare” aveva aspirato pure il prof. Giosuè Carducci, ma invano; e finì che si ridusse a chiamare Annunziata la sua cagnolina; cosicché, quando la bestiola gli correva incontro al suo arrivo a casa, il Vate della III Italia poteva tranquillamente gridare dalla strada alla moglie (che se ne stava al balcone): “Buttami il collare dell’Annunziata”.
Gli epistolari sono interessanti per tanti motivi. In una lettera del 25 settembre del 1928, Bobi Bazler, osservatore del mondo letterario italiano, scrivendo a Montale dopo la morte di Italo Svevo, gli rimproverava di avere riferito del defunto in un modo che si prestava troppo “a far sorgere la leggenda di uno Svevo borghese, intelligente, colto, comprensivo, buon critico, psicologo chiaroveggente nella vita”. Ammiratore incondizionato del romanziere, aggiungeva: ”Non aveva che genio, Nient’altro. Per il resto era stupido, egoista, opportunista, ‘gauche’, calcolatore, senza tatto. Se avrai occasione di scriverne ancora, metti a posto il più che ti è possibile la leggenda della nobile esistenza, dedicata unicamente a far soldi”. In effetti questa “fola” non ha mai preso piede, al punto che le biografie dello Svevo non mirano ad illustrare una “nobile esistenza” quanto piuttosto una vita quale che sia, folgorata da uno straordinario dono narrativo, accolto tra un affare e l’altro, mentre si vorrebbe che uno scrittore, un poeta, un artista, fosse sempre un esempio di vita. Naturalmente si tratta di una pretesa senza senso perché è sufficiente che egli sia solo un buon esempio di capacità artistica. Per il resto, è come per gli altri. Il Carducci ed il Pascoli non erano meno ‘gauche’ di Svevo; Dante era bilioso, il Boccaccio bigotto (almeno negli ultimi suoi tempi), Michelangelo sarebbe morto senza mai lavarsi i piedi, il Tommaseo sputava come un lanciarazzi, il Mazzini era un fifone e addirittura un vile né più né meno di Ugo Foscolo.
In effetti, sempre dall’epistolario privato, è possibile apprendere che pochi si sono accaniti contro la Città di Milano, i suoi costumi, i suoi abitanti quanto il poeta di Zacinto che poi concluse le sue denigrazioni con queste poche righe: ”Vi abito da tanti anni, senza amare né il paese né gli abitanti, e senza simulare di amarli. Ma fuggirò da questo paese, dove sarei seppellito coi ladri”. Proprio così, coi ladri ed anche coi biscazzieri perché l’Ugo, a Milano, una volta venne arrestato per avere giocato d’azzardo, e forse di vantaggio, in un luogo malfamato. Non amava quella Città, non amava Venezia pur essendone in qualche modo (per parte di padre) originario; e non apprezzava l’Italia in genere, ad onta delle notissime impennate retoriche che fanno studiare nei licei. Era un levantino, sempre in cerca di donne ricche a cui mungere la borsa; opportunista, rivoluzionario per carpire incarichi e militare per beccare stipendi. Ma a Milano incontrò sulla sua strada un modesto canonico che – il 1° di gennaio del 1811 – tracciò un suo breve (ma preciso) ritratto: “Ieri l’altro, certo Foscolo, d’origine greca, già professore a Pavia e levato per incapacità, strapazzò in un pubblico caffè – non so per qual causa – il giovane Clerichetti che molto bene gli rispose. Chiamatisi ambedue offesi, si sfidarono a duello. Perché fosse a morte, il Clerichetti propose di presentare due pistole, una carica e l’altra no, e spararle in bocca. Foscolo a tale proposta rispose: “Non voglio essere il carnefice di me stesso”. Con l’interposizione degli astanti, i due si riconciliarono.
Forse oggi gli “sms” e la normativa sulla “privacy” non avrebbero agevolato nell’apprendimento di tanti piccoli segreti di miserie umane che, però, procurano di “fotografare”, in tutta la propria interezza, i personaggi della storia o della letteratura.

Ultime Notizie