13.2 C
Campobasso
venerdì, Marzo 29, 2024

Settantatré ebrei salvati dal timbro del comune di Larino

QDSettantatré ebrei salvati dal timbro del comune di Larino

di Claudio de Luca

Il cimelio è esposto nel Museo storico della Resistenza di Modena

Dal luglio del 1942 all’aprile del 1943 soggiornarono a Nonantola (Modena), ospitati in Villa Emma, 73 ebrei, provenienti dalla ex-Jugoslavia. Dobbiamo a Giuseppe Mammarella (“Da vicino e da lontano”, “Lions club”, Larino) la ricostruzione di una storia in cui si narra della falsificazione di un timbro tondo del Comune frentano. I ragazzi, originari di diverse Nazioni del Centro-Europa, erano stati fatti portare nei Balcani dalla sionista Recha Freier, Direttrice della “Jüdische Jugendhilfe”. A lei faceva riferimento l’organizzazione di un’”aliyah” (emigrazione) in terra d’Israele. La donna procurava mezzi di sostentamento ai rifugiati e partecipava alla formazione di convogli clandestini. Quando le truppe tedesche ed italiane aggredirono la Jugoslavia, l’ascesa al potere del regime degli Ustascia rese pericoloso il loro permanere nella zona e quei ragazzi/e (dai 6 ai 18 anni) furono condotti nella Slovenia controllata dall’Italia. Qui trovarono alloggio, nei pressi di Lubiana, in un vecchio castello di caccia. La permanenza durò un anno ed al mantenimento provvide la “Delegazione per l’assistenza agli emigranti” di Genova. Il periodo fu assai duro. Spesso non c’era di che sfamarsi ed i viveri venivano acquistati al mercato nero oppure da contadini. Nella primavera del ’42 ebbe inizio la lotta dei partigiani ed i combattimenti toccarono le vicinanze del castello. Perciò fu deciso di trasferire i ragazzi in Italia dove era stata presa in affitto “Villa Emma” a Nonantola, una residenza di campagna di 46 stanze, disabitata ed in precarie condizioni. All’inizio i giovani furono costretti a dormire su giacigli improvvisati. Più tardi, i sette ettari che circondavano la villa permisero di attendere ai lavori agricoli, sinché il magazzino della Delegazione assistenziale, da Genova, fu trasferito nel Modenese dove occupò l’intera soffitta. Da qui venivano inviati pacchi agli oltre 6.000 ebrei internati in varie località italiane. Dopo l’8 settembre ’43, firmato l’armistizio tra il Governo Badoglio e gli Alleati, si sentirono in pericolo a causa dell’imminente occupazione tedesca. Cosicché, dopo una prima temporanea sistemazione nel Seminario della vicina Abbazia, venne presa in considerazione una fuga verso l’Italia meridionale, già liberata dagli Alleati e quindi una soluzione svizzera. Da qui parte la ricostruzione di Giuseppe Mammarella che accomuna le sorti dei 73 ragazzi ad un timbro tondo falsificato, copia di quello in uso al Comune di Larino. “La contraffazione fu opera del Parroco di Rubbiana – dice l’Autore -. Le carte d’identità venivano fornite da un impiegato comunale che attingeva dalla cassaforte in cui erano serbate e che presentavano il timbro a secco dell’ente frentano. Il timbro non raffigurava l’ala ma un’immagine di fantasia formata da cinque fasce verticali con una centrale più marcata”. Dopo di avere fatto portare a termine il lavoro di contraffazione, un medico del luogo ebbe ad apporre la firma sui falsi documenti al posto del Sindaco frentano, adoperandosi successivamente – assieme al Parroco – affinché i ragazzi di “Villa Emma” potessero raggiungere al più presto la frontiera svizzera. “Il viaggio della speranza iniziò in treno – dice Mammarella – ma poi tutti riuscirono ad attraversare il confine ed ottennero l’asilo politico. Successivamente il timbro fasullo fu utilizzato per carte d’identità rilasciate ad altri ebrei ed a partigiani. Era stato lavorato in ferro poiché quelli di gomma venivano esaminati con sospetto dalle Autorità tedesche”. Ma perché fu scelto il “tondo” larinese? La decisione dové essere maturata nel periodo in cui i ragazzi avevano trovato ospitalità nell’Abbazia. “Sul finire degli Anni ’20 – rivela l’Autore – era giunto nel Basso Molise don Alberto Pellesi, già seminarista a Nonantola. Divenuto parroco di Montemitro nel ’31,rientrò a Modena nel ’34 dove potrebbe avere incontrato il sacerdote nonantolese salvatore dei ragazzi a cui aveva potuto far cenno di Larino”.

Ultime Notizie