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martedì, Novembre 25, 2025

Una lettera e cento verità, per reagire alla disperazione

AttualitàUna lettera e cento verità, per reagire alla disperazione

di STEFANO FIORETTI

Il giornaledelmolise.it ha pubblicato mercoledì 22 gennaio 2014 una lettera che nel titolo e nel “preambolo” è definita, giustamente, drammatica. Aggiungerei coraggiosa, perché in quelle righe sono confessate apertamente molte delle debolezze vere, potenziali o presunte che possono affliggere un uomo, limitandolo tanto psicologicamente quanto fisicamente e rendendolo sovente oggetto di scherno, beffe ed emarginazione. Uno stato di cose che può minare la sopravvivenza stessa dell’individuo, come dimostrano i troppi e tragici episodi recenti.  Coraggiosa ancor più perché, pur facendo balenare pensieri cattivi ed estremi e confessando quelle “voci dentro” che suggeriscono soluzioni alle quali invece non bisogna assolutamente dare spazio, rivela ancora e sempre speranze, fiducia e la voglia di continuare a credere in una svolta. Coraggiosa perché prova a chiedere aiuto. La grande crisi può mettere dunque lo scoramento faccia a faccia con la voglia di reagire fino all’ultimo, in una singolar tenzone che tutti noi speriamo possa sempre vedere la seconda prevalere sul primo.

Reputo straordinari il garbo e l’educazione con i quali il nostro concittadino “le canta” a chi, rifiutando di tendere la mano, si è tirato indietro anche dalla sola ipotesi di un aiuto minimo, anche simbolico. Un garbo che inusitatamente si accoppia con quella disperazione dichiarata dal nostro “amico” che però, subito dopo, rivendica la propria dignità, la stessa che lo porta a credere nelle persone perbene e nella Chiesa e, addirittura, in quelle Istituzioni che oggi il meno arrabbiato di tutti noi darebbe alle fiamme senza indugio.

Prima di proporre il mio breve contributo con qualche riflessione a commento, premetto che tratto qui specificamente di “uomini” non già per tralasciare le donne ma perché la missiva indirizzata alla redazione è molto caratterizzata in senso maschile, soprattutto quando tira in ballo le difficoltà incontrate in ambienti che privilegiano “forza fisica, competizione e spregiudicatezza”, oltre a coperture politiche ed una certa quota di cattiveria nel carattere. Sulle donne va poi fatto un discorso a parte perché, oltre che dalla crisi e dalle difficoltà in discorso, sono colpite dalla incredibile ondata di violenza che le sta investendo in modo altrettanto drammatico in questi primi anni del terzo millennio.

Che dire? Come si legge nella presentazione, è una lettera che potrebbe essere stata scritta da milioni di italiani e che chiede risposte che non è possibile fornire. Dare spazio, voce e considerazione invece è fattibile e doveroso, soprattutto perché appelli come questo nascono nei cuori e negli animi di individui in situazioni di estremo disagio che spesso, se non sempre, restano inascoltati ed ai margini di una società civile sempre meno capace di solidarietà ed altruismo. Sempre meno capace di… socializzare. Bisogna accogliere e diffondere esternazioni come questa, ben più dei fattacci di cronaca, perché sono segnali di reazione e non di resa e dunque costituiscono un buon esempio.

L’occasione è propizia per rammentare a molti di noi, ed alla nostra vergognosamente autoreferenziale e distante politica, che tante persone vivono esperienze analoghe a quella confessata da questo signore di 52 anni e che ognuno di noi potrebbe trovarcisi dentro all’improvviso, in modo inaspettato e del tutto impronosticabile. La classe dirigente deve al più presto mettere in atto iniziative mirate al recupero ed alla tutela dei cittadini italiani che cadono in disgrazia, il cui voto e la cui dignità valgono tal quale quelli di tutti gli altri. Lo Stato deve smettere immediatamente di abbandonare i propri “figli”. Noi invece non possiamo più tenere gli occhi chiusi: servono una profonda riflessione, una presa di coscienza e tanta umiltà. Per risalire la china sono necessari collaborazione, olio di gomito ed aiuto reciproco, oltre alla capacità di fare finalmente a meno di qualcosa. Oggi più che mai, “del doman non v’è certezza” e non c’è più tempo da perdere.

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