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venerdì, Aprile 26, 2024

Ex Cattolica: cronaca di una morte annunciata. I lavoratori rischiano la pelle e la Regione cammina nel sonno

AperturaEx Cattolica: cronaca di una morte annunciata. I lavoratori rischiano la pelle e la Regione cammina nel sonno

di PASQUALE DI BELLO

Si fa drammatica la condizione dei quarantacinque lavoratori della Fondazione Giovanni Paolo II. Come preannunciato, dal primo novembre scatterà per tutti il licenziamento qualora nelle prossime ore non si riuscisse a trovare una soluzione che sembra allontanarsi sempre più. Sindacati e lavoratori lamentano l’assenza della Regione, un fatto grave che potrebbe portare anche alla chiusura dell’ospedale e a far perdere lavoro ad un indotto di circa quattrocento persone.

Come la nebbia a Milano, quella di Totò e Peppino di cui i due discettano in colbacco e pastrano a bordo binario, il presidente della Regione Molise, Paolo di Laura Frattura, è stato presente questa mattina all’incontro in Consiglio regionale tra sindacati e lavoratori della Fondazione Giovanni Paolo II (ex Cattolica). Come la nebbia di Totò e Peppino, perché c’era ma nessuno lo vedeva. Si è parlato di lui, e quasi solo di lui, nel corso di un tavolo al quale hanno preso parte oltre al presidente Niro anche i consiglieri Fusco, Federico, Lattanzio e Sabusco, le sigle sindacali del comparto ospedaliero e una delegazione dei quarantacinque lavoratori per i quali dal prossimo primo novembre scatterà il licenziamento. Si è parlato di Frattura (che in questo senso, e solo in questo, era “presente”) per due ragioni: la prima, perché nella sua veste di commissario governativo alla Sanità è l’unico titolato ad assumere (fin dove gli è consentito) impegni sulla materia; la seconda, perché pur avendo concordato l’incontro di oggi non solo non si è presentato al tavolo ma ha preferito discutere di sanità al Comune di Campobasso. Fatto, quest’ultimo, quello di aver disertato senza preavviso la riunione in Consiglio, che ha mandato letteralmente su tutte le furie sindacati e lavoratori che hanno letto la questione come un gesto di noncuranza e disinteresse. “Ci dica – hanno tuonato – con sincerità se è in grado di fare qualcosa, altrimenti dica che non può fare nulla e ne prenderemo atto”.

Ma di cosa stiamo parlando? Proviamo a rimettere indietro le lancette dell’orologio e riportiamo il calendario al 17 luglio scorso quando da un ufficio postale di Campobasso partono quarantacinque lettere. Sono destinate ad altrettanti dipendenti della Fondazione, tutti infermieri, ai quali si preannuncia il licenziamento a partire dal successivo primo novembre. Per l’ex Cattolica si tratta di un provvedimento radicale e necessario per far fronte al forte deficit economico in cui versa, circa 4milioni e 200mila euro. La questione, come tutte le questioni di questo disastrato territorio chiamato Molise, si trasferisce in Regione dove da poco si sono insediati Frattura e soci. Nemmeno il tempo di capire dove  si accendono e spengono le luci dell’assessorato alla Sanità, e sui nuovi amministratori si abbatte una tegola che, più di un “pincio”, appare un intero tetto. Senza l’integrazione col settore privato, il sistema sanitario molisano non è in grado di garantire i LEA, i livelli essenziali di assistenza. Livelli sotto ai quali il sistema diventerebbe di marca cambogiana o vietnamita, e ci riferiamo alla Cambogia degli anni ’50 e al Vietnam dei ’60: quelli della guerra, per capirci.

Quello della ex Cattolica, a detta di sindacati e lavoratori, non è altro che una pressione messa in campo contro il Piano Basso, ovvero contro il documento che, ridisegnando la sanità molisana, impone sacrifici pesantissimi anche per i privati. Da qui la spinta nei confronti della Regione, la minaccia di licenziamento per ottenere nuovi spazi e interventi a sostegno. Differente la posizione della controparte. Per la Fondazione si tratta di un atto doloroso ma indispensabile a far fronte sia al buco di bilancio sia alla progressiva riduzione di spazi. Da pare della Fondazione, inoltre, non vi è la disponibilità a ricorrere alla Cassa integrazione in deroga, probabilmente per la mancanza dei fondi necessari ad intervenire come parte privata nell’ammortizzatore sociale. La situazione è talmente grave e deficitaria che la Fondazione chiede agli stessi lavoratori di intervenire in un ipotetico percorso di risanamento attraverso un prelievo dell’ 8,80%  per due anni sulle retribuzioni lorde di tutti i dipendenti. I lavoratori vorrebbero che si trattasse di un prestito rimborsabile, la Fondazione un prelievo tout court. Sta di fatto che le parti non si accordano e l’ipotesi salta.

La questione va avanti anche nei palazzi della politica, in una Regione che non è un eufemismo definire di mobilieri. Si aprono tavoli e tavolini che non portano assolutamente a nulla: per l’assenza della Regione stessa e per la latitanza della proprietà, dicono sindacati e lavoratori. Di tavolo in tavolo si arriva all’attualità, al tavolo che la PFR, la premiata falegnameria regionale, ha segato, rifinito, piallato, incollato, inchiodato e verniciato per oggi. Doveva esserci Frattura, sarebbe stato opportuno vi fosse la Fondazione, e invece seduti si sono ritrovati il presidente Niro e i consiglieri di cui già si è detto (a cui va riconosciuto il merito di esserci) insieme a parti sociali e lavoratori. Un incontro dai toni accesi ed animati che non ha portato a nulla. Mancavano, come abbiamo evidenziato, coloro che dovevano esserci: Fondazione e Commissario, quest’ultimo anche assessore al ramo, come viene bene da dire in questo caso. Un ramo sul quale Frattura è seduto e, come nelle migliori barzellette, sta segando dal lato opposto a quello su cui è assiso. Il rischio che precipiti lui e tutto l’ospedale, pardon il padiglione, pardon la corsia, pardon la baracca, è un rischio più che reale. Baracca, perché tale sembra essere diventata la condizione dei quarantacinque lavoratori, quella di baraccati, già posti e legati sulla bocca del cannone che sta per spararli nell’orbita del licenziamento, nello spazio siderale del nulla. Baraccati destinati a diventare quattrocento (tanti sono gli addetti alla ex Cattolica) quando i licenziamenti diventeranno effettivi e, non potendo più garantire i turni, l’ospedale retto dalla Fondazione è destinato a crollare e chiudere. Insomma, siamo alla cronaca di una morte annunciata.

Nel corso dell’incontro, che si è concluso con l’ipotesi di un nuovo appuntamento a breve, è giunta la  notizia che il Prefetto di Campobasso ha convocato nelle prossime ore un tavolo (pure lui!) con la proprietà e i sindacati destinato, verosimilmente, a produrre poco o nulla. Indispensabile, al momento, è l’azione congiunta del Commissario e assessore alla Sanità, dell’assessore al Lavoro della Fondazione e delle parti sociali. Al momento a questo tavolo ci sono solo i sindacati ed è per questo che più di un tavolo l’impressione è quella di trovarsi davanti ad un tavolaccio: quello dell’obitorio. Le lancette dell’orologio corrono inesorabili e la scadenza del 31 ottobre, a mezzanotte, è vicina. Nessuno sa la fine che faranno i lavoratori o, forse, tutti già lo sanno, ed è per questo che fingono di camminare nel sonno. Paiono sonnambuli e invece sono soltanto dei fantasmi. Se si vogliono salvare i lavoratori e l’ospedale, se si possono salvare, lo si deve fare ora, qui e subito. Altrimenti bisogna parlare con lettere chiare e intellegibili e dire che non c’è più nulla da fare. Poi ci sarà tempo per le esequie, le condoglianze e le lacrime di coccodrillo; persino per qualche analisi, a partire dalla questione delle questioni, quella di una struttura costruita a due passi dal Cardarelli, destinata all’alta specializzazione nonché a servire un bacino di circa sei milioni di utenti (quelli di larga parte del sud Italia) e che si è ritrovata invece a far concorrenza al nosocomio campobassano sulle appendiciti e gli ascessi e a servire un bacino d’utenza di quattro gatti.

 

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