Danilo Leva, parlamentare e responsabile giustizia del Pd, in una intervista ha dichiarato di essere favorevole all’abolizione dell’ergastolo. Molte, a partire dall’iper giustizionalista Travaglio, sono state le critiche rivolte alla proposta. Personalmente, anche a nome dell’Osservatorio Repressione, raccolgo favorevolmente la proposta avanzata da Danilo Leva.
In tempi in cui destra e sinistra si rincorrono sul chi è più bravo a fabbricare paure e ricette contro l’insicurezza (da loro stessi alimentata) il tema delle pene disumane, della maggiore efficacia delle misure alternative rispetto alla pena carceraria non crea consensi in termini elettorali.
Eppure l’ergastolo è stato già abolito in molti paesi europei anche perché inefficace. L’esperienza insegna che la gravità della pena, oltre un certo limite, non ha affatto efficacia preventiva; essa è, invece, assicurata dal restringimento delle aree di impunità, dall’efficacia del sistema giudiziario, nonché dalla rapidità del processo.
Oggi l’Italia è già al 156° posto al mondo per il funzionamento della giustizia a causa anche della moltitudine di procedimenti inutili contro venditori di borse contraffatte, “poveri cristi” stranieri che non hanno ottemperato all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale, semplici consumatori di droghe leggere. Mentre i colletti bianchi indagati beneficiano dell’intasamento dei tribunali facendo cadere i propri reati in prescrizione (questa è la vera e propria amnistia di fatto per i ricchi).
L’abolizione dell’ergastolo va inserita dentro la campagna per una giustizia equa ed efficace, con un progetto di riforma complessiva del sistema giustizia che andrebbe a vantaggio delle vittime (riduzione delle fattispecie di reato, dunque meno processi e conseguente accelerazione dei tempi della giustizia), a vantaggio degli imputati e dei condannati e di tutta la società.
Se infatti il fine della pena deve essere il reinserimento sociale e la prevenzione di ulteriori crimini, lo stato dovrebbe ricorrere maggiormente alle misure alternative perché più efficaci del carcere (8 detenuti su 10 una volta liberi tornano a delinquere, mentre chi usufruisce di misure alternative torna a delinquere 2 volte su 10).
La tremenda dizione “fine pena: mai” è, infatti, una inciviltà giuridica, una negazione dell’impianto costituzionale del sistema delle pene.
L’ergastolo è pura afflizione di menti e corpi, è vendetta di Stato, soprattutto per la concezione contemporanea del tempo e dello spazio.
Perché l’ergastolo è, nello stesso tempo, metafora della materialità della punizione eterna e “non luogo” rispetto ad una vita che non esiste più, essendo il futuro schiacciato sul presente, per l’assenza di ogni progetto di speranza.
Il legislatore, oggi, produce norme giustizialiste, proibizioniste, securitarie, tese alla bulimia carceraria.
L’ergastolo non è affatto marginale. Quasi 1500 detenuti lo subiscono; e a loro vanno aggiunti tutti coloro che sono internati a vita, seppelliti nei vergognosi ospedali psichiatrici giudiziari.
La Costituzione nega la legittimità dell’ergastolo, stabilendo la finalità rieducativa della pena.
Le obiezioni avanzate per negare l’abolizione dell’ergastolo si basano sull’asserita prevenzione del carcere a vita nei confronti delle forme più gravi di criminalità.
Esse non hanno fondamento, come è, del resto, riconosciuto da quasi tutti i paesi europei. L’esperienza giuridica insegna che, in generale, la gravità della pena, oltre un certo limite, non ha affatto efficacia preventiva; essa è, invece, assicurata dal restringimento delle aree di impunità, dall’efficienza del sistema giudiziario, nonché dalla rapidità del processo.
Quindi bene ha fatto Danilo Leva a gettare il sasso nello stagno ed aprire il dibattito su questo importantissimo tema, che spero diventi un’occasione importante per rilanciare una battaglia democratica, di sinistra, per lo stato di diritto.
Italo Di Sabato – Osservatorio sulla Repressione



