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venerdì, Aprile 19, 2024

Salvare l’economia molisana, per Frattura un’impresa difficile ma possibile

AperturaSalvare l'economia molisana, per Frattura un'impresa difficile ma possibile

di MANUELA PETESCIA

La crisi strutturale che affligge l’economia molisana è un rompicapo col quale sarà difficile confrontarsi. Un’impresa complessa ma possibile per il presidente Frattura. C’è un ritardo di quarant’anni da coprire e bisogna azzerarlo in poco tempo. Occorrono coesione, progettualità, coraggio.

 Il Molise è una regione povera, anzi poverissima.

Oltre al paesaggio incantevole, peraltro mai trasformato in risorsa economica – in turismo – sotto il vestito di alberi, con le sue incantevoli sfumature di verde e di azzurro: niente.

Infrastrutture zero, imprenditoria privata zero, industrie zero, dinamismo e animazione territoriale zero.
In questo contesto zero – con le dovute, rare eccezioni – e con l’arrivo della congiuntura economica internazionale negativa, anche l’artigianato e il piccolo commercio, che fino a qualche tempo fa erano a malapena sopravvissuti, chiudono.
Mettere mano a questa situazione è complicato.
È complicato perché la Regione Molise ha sostituito quello zero-risorse con posti di lavoro direttamente o indirettamente garantiti da lei stessa.
La Regione è stata usata, cioè, e non solo negli ultimi dieci anni, come serbatoio occupazionale supplente, in alternativa a quello generato dalle vere imprese, dalle vere industrie, insomma dalle vere attività private.
Il risparmio delle spese si traduce quindi in ulteriore disoccupazione.
L’esempio della Gam è il più eclatante, ma qualsiasi azione di risanamento delle casse regionali comporta attività che si chiudono e categorie di lavoratori in mezzo a una strada.
Dalle guardie giurate ai precari della sanità, dagli esodati ai co-co-pro, dai gruppi tipo “Skill Generation” agli stagisti della formazione professionale, dagli operai del tessile a quelli dell’agroalimentare.
Come si sia approdati a un modello di amministrazione pubblica pronto a garantire occupazione come se fosse una multiazienda socia di qualsiasi attività, madre generosa che eroga salari anche per consulenze e prestazioni inutili, non è semplice da spiegare.
Quello che vorremmo chiederci, però, è quale sarebbe e quale sarà l’alternativa.
Servono o non servono, imboscati politici o vincitori di concorso, serbatoio di voti o bravi ragazzi, intelligenti o impostori? Lasciando ad ognuno di noi la libertà delle definizioni, stiamo parlando comunque di gente che lavora e che trae sostegno economico per la propria famiglia. E che andrà ad alimentare il famoso zero.
E le riflessioni più aride che si sollevano sono quelle di chi, ritenendo il proprio posto di lavoro legittimo e meritato, quindi intoccabile, tuona contro i famosi imboscati (“che tornino a casa, per colpa loro paghiamo le tasse”), senza capire che nel Molise alla fine, per povertà di risorse territoriali, per quello zero e porto zero di cui abbiamo parlato, siamo tutti nella stessa barca.

L’esempio dei servizi sanitari (che oggi il piano Basso vuole sopprimere) è il più calzante: senza entrare nel merito dell’utilità (questa tv si è sempre schierata contro qualsiasi chiusura perché va a danno della salute dei cittadini, punto e basta, il resto sono chiacchiere), ebbene senza entrare nel merito dell’utilità di quei servizi, il ragionamento sulla Regione-azienda-sanitaria impropria, sia pubblica che privata, andrebbe a ricadere su medici, infermieri e personale amministrativo, al pari di un qualsiasi operaio della Gam.
Insomma, un medico del Cardarelli, della Cattolica o del Neuromed in Molise potrebbe trasformarsi in pochi attimi in operaio dello Zuccherificio.
Come è paragonabile agli operai della Gam o dello Zuccherificio qualsiasi iniziativa culturale sponsorizzata da” mamma Regione”, sagra del pomodoro e sant’Antonio inclusi.
E quando si chiudono i rubinetti per migliaia di persone, in una terra di 300 mila abitanti, è inevitabile che ne risenta tutto il tessuto economico, compresi i negozianti, gli elettricisti, gli idraulici, i commercialisti, i panettieri, fino ai bagnini. Tutti vedranno fatalmente ridursi i loro fatturati e il loro tenore di vita.
Ecco perché non è facile per Paolo Di Laura Frattura mettere mano a questo stato di cose. E il ragionamento, serio, legittimo, giustissimo del perché in quarant’anni non si sia riusciti a creare le condizioni per uno sviluppo autonomo di questa terra, non sposta il problema e non salva Frattura dall’enigma di come uscire da questa situazione in poco tempo.

 

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