Più pasta, perché un piatto di spaghetti costa poco e risolve il pranzo. Meno carne e meno salumi, meno frutta e meno pesce, perché chi li infila nel carrello vede inesorabilmente lievitare lo scontrino. Qualche dolcetto e un po’ di cioccolato in più: visti i tempi duri, bisogna pur consolarsi. La crisi ha cambiato la spesa degli italiani, li ha costretti a modificare abitudini ormai consolidate, a rinnovare il paniere dei beni da consumare e a rivedere le modalità d’acquisto. Il taglio della quantità è stato netto: lo segnala uno studio di Federalimentare che fa notare come negli ultimi cinque anni dispense e frigoriferi siano diventati decisamente più “leggeri”: meno 10 per cento negli acquisti, corrispondenti, in termini di valore a 20 miliardi di euro. Meno 3 per cento e meno 7 miliardi solo negli ultimi dodici mesi.
Addio, quindi a carrelli strapieni simbolo di diffuso benessere. Ora la spesa viene centellinata e la composizione del pasto ne risente. Ne risente anche la “produzione” di rifiuti, visto che siamo passati da una quota di sprechi del 25-30 per cento sugli alimentari acquistati, ad un ridotto 7 per cento (dovuto, generalmente, al veloce deperimento di frutta e verdura).