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giovedì, Aprile 25, 2024

Il Pd, Frattura e il valzer degli equivoci. Le primarie unica via d’uscita al balletto delle ambiguità

AperturaIl Pd, Frattura e il valzer degli equivoci. Le primarie unica via d’uscita al balletto delle ambiguità

di Pasquale Di Bello

Nonostante i favori del pronostico, il centrosinistra rischia di perdere le prossime elezioni regionali. A minare il percorso verso l’appuntamento di primavera c’è l’ambiguo rapporto tra i democratici e Paolo Di Laura Frattura. Dal ruolo di grande sponsor,  e l’entusiasmo del 2011, il Pd è passato alla freddezza attuale verso l’ex candidato alla presidenza della Regione. A questo punto solo un nuovo turno di primarie può contribuire a ristabilire una percorso di chiarezza.

Alla meglio, cioè alla peggio, il Partito democratico del Molise è alla ricerca di una nuovo leader per il centrosinistra. Dopo aver incoronato Paolo Di Laura Frattura poco più di un anno fa, i democratici non sanno come fare a sbarazzarsene. Dal canto suo, Frattura, ha fatto di tutto pur di mettersi nella condizione di ripudiato nella quale si è venuto a trovare. Perché questa è la storia, quella di un matrimonio cominciato male e finito peggio. Se oggi il centrosinistra si trova nel papocchio nel quale è finito lo si deve ad una serie di manovre equivoche e maldestre iniziate nel giugno del 2010 quando Roberto Ruta, con la tessera del Pd in tasca, decide di fondare un suo movimento civico, Alternativ@, che verrà poi ufficializzato nel settembre successivo. Un’operazione da essere radiati seduta stante, incompatibile com’è l’idea di starsene in un partito e fondare un altro che dal primo prende truppe e voti. Una carnevalata del genere ai tempi della famigerata Prima repubblica non sarebbe mai avvenuta. Anche il partito liberale, senza scomodare Dc e Pci, avrebbe mozzato (politicamente) le mani a Ruta. Ma siamo nella Seconda repubblica e, soprattutto, siamo in Molise dove quando ti devono mozzare le mani invece ti danno le medaglie.

Il colpo di maglio sul centrosinistra, quello di cui oggi si vedono gli effetti deleteri in termini di chiarezza, parte da allora, dal quel giugno afoso del 2010. I prodromi della sgangherata e sconclusionata leadership alla pommarola verso la quale il Pd rischia di andare (trascinando con sé il centrosinistra), nascono nell’estate del 2010 e proseguono un anno nella primavera del 2011 quando lo stesso Ruta, a sorpresa (ma nemmeno tanto), propone la candidatura di Frattura. Subito dopo, il 14 luglio dello stesso anno, esattamente duecentoventidue anni dopo la presa della Bastiglia, Paolo Di Laura Frattura si dichiara pronto a correre per le primarie del centrosinistra e per la successiva presa della Regione. Ma il valzer degli equivoci non finisce qui: a primarie fissate, il segretario regionale del Pd, Danilo Leva, annuncia il suo appoggio a Frattura. In presenza di due candidati con la tessera del Pd in tasca, Antonio D’Ambrosio e Michele Petraroia, è un gesto gravissimo per un segretario di partito, specie in considerazione del fatto che Frattura si presenta da indipendente. Fossimo nella Prima repubblica, anche il partito repubblicano, senza scomodare Dc e Pci, avrebbe proceduto alla mozzatura (politica) non solo delle mani ma pure della lingua. Ma non basta, il valzer continua. Le elezioni si tengono il 16 e 17 ottobre e per il centrosinistra vanno bene, cioè male, perché Frattura arriva ad un passo dal traguardo ma si ferma. Solo successivamente, il 29 ottobre del 2012, sapremo ufficialmente che quelle elezioni erano una patacca falsata dalla presenza di due liste, Udc e Molise civile, che invece non dovevano concorrere alla elezione di Michele Iorio che, sia detto per inciso e una volta per tutte (visto le ciance del governatore), la partita non l’ha vinta ma l’ha persa. Ma Iorio, più esperto di quadriglie dove uno si piglia, si lascia e zompa, con questo valzer non c’entra nulla. Le impronte digitali sono tutte del Pd e, per parte sua, di Frattura che da dopo le elezioni comincia a sbarellare lungo un percorso che se oggi non l’ha portato al deragliamento, poco ci manca. Il 15 dicembre del 2011 Danilo Leva ne combina un’altra e circa due ore prima dell’assemblea regionale fissata per quel giorno, tiene una conferenza stampa in solitaria e annuncia l’ingresso di Frattura nel Pd. Due ore dopo l’assemblea si tiene, Frattura arriva ma la tessera del Pd non la ritira. Anzi, non la chiede proprio.

E qui comincia l’altra parte del marasma a mozzafiato che ha ridato fiato oggi a molti mozz’orecchi che vorrebbero lasciare le cose come stanno, cioè in cancrena. Un marasma che porta altre impronte digitali, quelle di Paolo Frattura che avvia un percorso tortuoso che oggi rischia di costargli l’osso del collo. Inizia da qui, dalla fine del 2011, la corresponsione di amorosi sensi con l’Italia dei valori. Non c’è occasione nella quale Paolo e Tonino non facciano coppia fissa e questo, non c’è dubbio, comincia a generare una certa allergia nei suoi confronti proprio dai due padrini che lo avevano battezzato (Ruta e Leva). Inoltre, Frattura non solo non entra nel Pd ma anche con l’Idv si ferma ai preliminari: insomma, fidanzati sì maritati no. Ma non si ferma, gli atti di quello che visto oggi è un vero e proprio percorso di autolesionismo politico vanno avanti. Probabilmente consigliato da pessimi consiglieri, Frattura non solo non prende tessere ma nemmeno ne fa, non riuscendo a strutturare un suo autonomo movimento che quantomeno potesse al momento giusto mettere in campo a sua difesa. E il momento oggi è arrivato. Fa bene Frattura a chiedere nuove primarie, perché è l’unico sistema per ottenere nuovamente una leadership autorevole e legittimata da un nuovo passaggio al vaglio dei cittadini. Diversamente, come ha fatto notare un politico navigato come Astore, a che titolo Frattura si presenta o, peggio, convoca i tavoli? In politica l’autoreferenzialità è l’anticamera del suicidio. E che servano le primarie lo ha capito anche Antonio Di Pietro che venerdì sera, nel corso della trasmissione di Telemolise Moby Dick, ha dovuto ammetterlo incalzato dalle domande del conduttore, Giovanni Minicozzi. In quell’istante, mentre Di Pietro diceva sì alle primarie, le telecamere hanno inquadrato Danilo Leva che strizzava l’occhio in segno di approvazione. Se non sbagliamo, a briscola l’occhietto è il segno di chi tiene in mano l’asso. E così è, oggi il carico da undici è nelle mani del Pd. Va però detto ora, prima che sia troppo tardi, che il Partito democratico questa volta, oltre alle elezioni, si gioca pure la faccia. Dire che si vogliono le primarie vuol dire che non si vuole più Frattura? Chi appoggerebbe il Pd in caso di primarie visto che Frattura concorrerà e Di Pietro ha detto apertis verbis che ne prenderà le difese? Sono nodi da sciogliere e subito, evitando che la situazione si incancrenisca ulteriormente.

Quanto a Frattura, vada avanti e insista sulle primarie, per due motivi: perché ha tutto il diritto di riprovarci e perché, se non fosse per lui e per la sua ostinazione nella battaglia dei ricorsi, oggi la possibilità di girare pagina il Molise se la scorderebbe. E se la scorderebbero anche quelli che a Frattura hanno già preparato le esequie politiche. Il fatto che egli abbia commesso degli errori non è una buona ragione per mandarlo alla canna del gas senza una prova d’appello e, soprattutto, non è una buona ragione per pensare che egli di quegli errori non si sia ravveduto. Una smarronata che ad esempio non gli capiterà di rifare è quella di un listino maggioritario che non sia l’inutile orpello varato la scorsa volta. Un listino di boy scout, detto con rispetto dei nipotini di Baden Powell, va bene per le scampagnate che finiscono a pane e frittata ma non per le elezioni molisane che finiscono inevitabilmente con una girandola di mazzate alla cecata.  Il Pd è quindi ad un bivio: convochi subito le primarie e lasci perdere i giri di valzer. Il Molise vuole cambiare pagina, musica e ballo e, soprattutto vuole cambiare quegli orchestrali che sventolano stracci e li contrabbandano per bandiere.

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