di Giovanni Di Tota
Era uno sperimentatore. E’ stato uno degli artisti più illustri di Campobasso. La sua fama, da tempo aveva superato ogni confine. Gino Marotta, classe 1935, convittore del Mario Pagano, è morto all’improvviso a Roma.
Proprio nella capitale alla galleria nazionale di arte moderna il 6 ottobre, aveva inaugurato la sua ultima mostra: relazioni pericolose. Metacrilato e luci colorate. Figure pop su cui si erano espressi con favore tutti i grandi critici d’arte. Da Bonito Oliva a Calvesi.
Marotta, partito giovanissimo da Campobasso, aveva cominciato a muovere i suoi primi passi di artista in via Margutta, cuore della pittura nella capitale. Negli anni ’60 e 70’, la sua produzione pittorica aveva la forte connotazione metafisica impressa in quegli anni da De Chirico. La grande tecnica nel disegno e l’uso del colore, il rosso era uno dei suoi preferiti, lo avevano proiettato in forme sperimentali. Forse trascinato anche dalla sua collaborazione, diventata poi grande amicizia, con Carmelo Bene, per il quale era stato anche scenografo in Nostra signora dei Turchi, del ’72 e poi in Amleto, dieci anni più tardi.
Il suo albero, trasportato dal quadro alla scultura, lo ha reso famoso in tutto il mondo. Parigi e la Biennale di Venezia. Una sua personale a Campobasso resta una delle migliori pagine culturali della città, che lui amava forse non del tutto ricambiato, come spesso accade a tutti i più grandi. Ma a Campobasso tornava sempre volentieri. Come aveva ripetuto anche a Manuela Petescia nella trasmissione Dimmelo con il cuore. E anche quando passava dalla redazione salutava tutti con la semplicità e l’umiltà che solo i grandi personaggi hanno.
Abitava in uno splendido attico nella zona di via del Corso, ed è stata la moglie Isabella a confermare che il marito era stato colto da un infarto. Con lei anche i figli Gea e Stefano, che hanno definito il pittore e scultore assoluta unione tra arte e umanità