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giovedì, Maggio 1, 2025

La dura legge del Tar

AttualitàLa dura legge del Tar

di Giovanni Di Tota

Al principio fu proprio una sentenza del Tar, sigla riassuntiva e vagamente minacciosa, che sta per tribunale amministrativo regionale. Un organo competente su una materia elastica e per lo più interpretativa e per questo quanto mai imprevedibile.

All’inizio del millennio fu proprio il Tar, causa errori formali nella raccolta delle firme e nei documenti per presentare le liste, a rimandare alle urne i molisani che avevano eletto presidente della giunta Giovanni Di Stasi. Nella partita di ritorno, Michele Iorio capovolse il risultato e con una valanga di voti s’insediò al primo piano di via XXIV maggio, alla guida della Regione.

Una sentenza, si disse all’epoca, che avrebbe fatto giurisprudenza. E in effetti la fece. Ma nelle altre regioni. Allarmatissime per gli effetti che i metodi alla carlona nel raccogliere le firme utilizzati dai partiti avevano prodotto nell’avanzatissimo, sul piano legal formale Molise.

Una lezione sotto il profilo della giurisprudenza, di cui avrebbero fatto in seguito tesoro i partiti e gli avvocati amministrativisti della Lombardia, brogli e firme false ma giunta regolarmente in carica, della Liguria, del Piemonte, dove il riconteggio delle schede è durato più della legislatura. Insomma una lezione, quella che ha impartito il Molise, che è servita ai politici di tutto lo stivale.

Ma al nuovo giro dell’oca, il Tar li ha ribeccati. Ancora il Molise, ancora le firme, i documenti, i timbri, le date, gli orari. Insomma, roba per alchimisti del cavillo giuridico, per filosofi del diritto, questioni che ancora una volta avrebbero fatto giurisprudenza. Tac, anzi Tar. E due. Seconda botta al Molise che nel frattempo si era forse dimenticato la prima lezione.

Via a rivotare, insieme a Lazio e a Lombardia. Ma la Pisana e il Pirellone sono stati travolti dai festini dei consiglieri vestiti da gladiatori e dalle vacanze caraibiche di Formigoni il Celeste, il Molise torna a votare, caso che farà giurisprudenza, per le patacche confezionate dai burocrati dei partiti. Non imbrogli milionari, non voragini nelle casse pubbliche. Firme e timbri.

E anche Isernia, nel suo piccolo, prova a difendersi. Farà giurisprudenza il caso del sindaco eletto senza mai esserlo per un giorno, con i consiglieri che si dimettono, poi tornano, poi se ne rivanno, poi ci ripensano. Con la città che non è più provincia, da sei mesi non ha un sindaco e forse non lo avrà per altri sei e che se va avanti così finirà sotto un Tir. Anzi, un Tar

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