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venerdì, Marzo 29, 2024

La società foggiana imita Riina e la sua strategia del terrore

EditorialiLa società foggiana imita Riina e la sua strategia del terrore

di VINCENZO MUSACCHIO*

La Società foggiana è un’organizzazione criminale che volontariamente non ha scelto la strada che la porti verso una borghesizzazione, per cui, non lavora sottotraccia, ma, al contrario, è palesemente grezza e nel suo territorio utilizza il metodo intimidatorio con particolare ferocità e violenza. Quest’organizzazione mafiosa ha scelto il terrore e così com’è accaduto per Riina a Palermo. Tale scelta, se confermata nel tempo, l’affosserà. I capi mafia foggiani vogliono diventare ad ogni costo il simbolo di un immaginario collettivo, di un marchio di quella mafia dei corleonesi che incuteva terrore persino al pensiero. Con le bombe esigono sottomissione, non lasciano correre nulla che possa minimamente minare il loro rispetto. Non ubbidire ai boss non è consentito a nessuno. Gli stessi affiliati temono il loro capo: chi tradisce muore nei modi peggiori possibili. La loro logica, dunque, è di credere in questo “codice di potere” fino in fondo. A Foggia, i capi mafia, il loro ruolo l’hanno ottenuto con il sangue e con le faide. Per loro il sangue è uno dei mezzi più preziosi a disposizione. Cercano e riconoscono alla ferocia un carattere persuasivo che intendono cavalcare e propagare nei territori di loro pertinenza. In pratica, teorizzano e realizzano quello stesso terrorismo mafioso voluto da Riina e dai corleonesi in Sicilia. Questa eco mediatica se da un lato funziona dall’altro costituisce un limite. Così agendo si rende visibile ciò che le organizzazioni criminali foggiane erano in passato riuscite a tenere invisibile, e sempre per colpa questa strategia lo Stato italiano non potrà più fare a meno di approvare nuovi strumenti antimafia che metteranno inevitabilmente a dura prova gli affari e le strutture delle cosche pugliesi e di chi con loro fa affari. Ai nuovi mafiosi che comandano Foggia, tuttavia, questo non interessa. Loro sono l’anti-Stato, un contropotere che usa sangue e terrore come strumenti di persuasione. Con le bombe e le esecuzioni danno ancora una volta un forte segnale su chi comanda a Foggia e su quanto grande sia lo strapotere della mafia foggiana poiché in città in dieci giorni sono stati compiuti sei attentati intimidatori e un omicidio. Con queste azioni criminali la mafia vuole dimostrare la sua capacità di colpire dappertutto e chiunque. Le bombe del foggiano non sono solo intimidazioni del tipo “non paghi e ti esplode il negozio”. Nel foggiano la bomba è un messaggio in codice ben preciso. Serve per far capire di aver ricevuto un’offesa o un torto, è un memorandum che se vuoi vivere sereno sei tu che devi cercare il mafioso e pagare il pizzo. L’esplosione di una bomba deve essere sentita da tutta la città, deve fare paura, deve farti tremare il terreno sotto i piedi, il boato deve essere enorme, deve lasciare un segno materiale e psicologico. Così facendo, i capi clan vogliono dare alle loro cosche un’aura d’invincibilità. Le fiaccolate e l’impegno delle forze dell’ordine e dalla magistratura locale servono a poco se non si da inizio a un’azione forte e a un impegno repressivo da parte dello Stato seguito da una bonifica culturale e sociale di quei territori. La storia della mafia foggiana non è la storia di folli allo sbaraglio, ma di criminali che scelgono la strada dell’intransigenza, del rigido codice della violenza, la strada militare. Con le loro bombe, però, costringeranno lo Stato a riconoscere la loro estrema pericolosità, a dichiarare la presenza di un rischio assoluto e la necessità di entrare in emergenza per sconfiggerla. La ’ndrangheta e la camorra al contrario hanno cercato sempre di evitare questa strada preferendo la via del silenzio e della corruzione, più efficaci e meno eclatanti. Se si vuole por freno a questa situazione, in questo momento, a Foggia serve una mobilitazione di magistrati e investigatori antimafia come avvenne quando si decise di sconfiggere il clan dei Casalesi in Campania.

* giurista, associato per il diritto penale alla School of Public Affairs and Administration della Reuters University di Newark

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