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mercoledì, Aprile 24, 2024

Il giornalismo non è una religione. I giornalisti non sono i suoi sacerdoti

AttualitàIl giornalismo non è una religione. I giornalisti non sono i suoi sacerdoti

di Angelo Persichilli

Premetto che ho sempre apprezzato, e non intendo cambiare opinione, la professionalità e la preparazione di Ivan Zazzaroni, ma questa volta mi ha deluso. Non solo per quel che ha scritto il giorno prima, ma per come si è giustificato il giorno dopo. Un errore nella carriera di ognuno ci può stare, nessuno è perfetto. Infatti, ho sempre sostenuto che le persone non si giudicano per gli errori che fanno (a meno che non siano dei recidivi e in mala fede), ma sulla loro capacità di gestirli. E Zazzaroni ha gestito male il suo errore.

Ha detto di avere fatto la scelta sbagliata, cioè quella di comportarsi da giornalista e non da amico. Credo invece che lui non si sia comportato né da amico, né da giornalista.

Un giornalista deve avere, per ovvie ragioni, delle fonti e molte di queste fonti spesso diventano amici. A quel punto diventa difficile gestire il contenuto delle conversazioni in quanto non è dato sapere se una informazione confidenziale viene data all’amico o al giornalista.

Durante la mia carriera ho gestito questo dilemma in modo molto chiaro. Tutte le conversazioni con una persona che è amico ma anche, diciamo, ministro, le ho sempre considerate confidenziali, a meno di esplicite richieste di interviste.

Se è in arrivo, per esempio, un rimpasto di governo, ovviamente chiamo l’amico ministro o potenziale ministro e questa persona quasi sempre risponde. Ma risponde all’amico, non al giornalista. Altri giornalisti chiamano, ma non ottengono alcuna risposta.

Stesso discorso per Zazzaroni.

Le persone che lui ha chiamato per avere informazioni sull’amico ‘Sini’, gli hanno risposto in quanto amico, non giornalista. Non credo che le stesse informazioni sarebbero state date a un giornalista di qualsiasi altra redazione se non ci fosse stata l’amicizia.

Il problema della giustificazione della scelta tra amicizia e professionalità è fittizio; in realtà lui ha usato l’amicizia per fare il giornalista. Si badi bene che l’amicizia può e deve essere sfruttata per fare giornalismo, ma la scelta deve essere chiara. Io ho fatto sempre ricorso agli amici per avere informazioni ma da usare, per esempio, come background. Oppure per avere informazioni su persone o eventi di cui l’amico fosse in possesso e che, volontariamente, le mettesse a mia disposizione autorizzandomi a pubblicarle magari senza rivelare la fonte.

Questo non credo sia il caso di Zazzaroni.

Lui ha ottenuto da amici informazioni confidenziali su una notizia che riguardava un suo amico che aveva espressamente chiesto il rispetto della privacy.

Tra l’altro, la notizia non era di quelle che richiedevano tempestività per battere la concorrenza, per esempio Cristiano Ronaldo passa al Campobasso oppure James Pallotta sta preparando una squadra per far vincere alla Roma lo scudetto. Non sono nemmeno d’accordo con Mihajlovic quando ha detto che Zazzaroni lo ha fatto per vendere qualche copia in più. La notizia è stata pubblicata, probabilmente, per narcisismo professionale come per dire, io sono il più informato, oppure io sono il giornalista tutto d’un pezzo che non guarda in faccia a nessuno. Parlando in generale, si tira sempre in ballo il diritto dei giornalisti di scrivere qualsiasi cosa in nome di una libertà di stampa usata spesso per mascherare qualsiasi bestialità divulgata. O per esempio di sparare a tutta pagina, in prima pagina, l’arresto di una persona per poi pubblicare la sua scarcerazione “per non aver commesso il fatto” a una colonna a pagina 37.

Ripeto, considero Zazzaroni un bravo giornalista e capisco anche che un errore non definisce la sua professionalità. La sua risposta è stata comunque peggio dell’errore. Ha cercato di razionalizzare l’errore con argomentazioni lunghe e convolute. Sarebbe bastata invece una lettera molto più corta e concisa come “Caro Sinisa, ho sbagliato e me ne pento. Chiedo scusa a te, agli amici e a tutti i lettori”.

Una cosa è certa. Non si può fare il giornalista senza avere informatori fidati e qualificati. Dopo ciò che è successo, credo che Zazzaroni avrà qualche difficoltà a trovarne.

In generale, dobbiamo ricordare che il giornalismo non è una religione e i giornalisti non sono i suoi sacerdoti infallibili. Come giornalisti dobbiamo rivendicare il diritto di fare errori e non essere esposti senza appello, al pubblico ludibrio; a patto comunque che ce ne assumiamo le responsabilità in modo chiaro e inequivocabile.

 

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