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mercoledì, Aprile 24, 2024

Il nichilismo degli adulti, prima ancora che dei ragazzi

AperturaIl nichilismo degli adulti, prima ancora che dei ragazzi

di ADELE FRARACCI

I luoghi comuni sui giovani sono stati più o meno sempre gli stessi, stereotipi pressoché standardizzati nel corso della storia. Le generazioni adulte hanno, ad esempio, sempre stigmatizzato i comportamenti e il linguaggio dei più giovani, percepiti come involuti rispetto a quelli passati; il solco tracciato è stato cioè quello della nostalgia dei tempi che furono e dell’allarme circa i tempi moderni, avvertiti come corrotti e decadenti. Abbiamo avuto finanche un gigante del pensiero come Aristotele che non è sfuggito al luogo comune, tanto da rampognare alacremente sui nuovi tempi, in particolare sulle ragazze, ree, a parer suo, di invadere uno spazio tradizionalmente maschile : le palestre. Se ci è cascato un gigante della speculazione teoretica e padre della logica formale, è facile inciamparci un po’ tutti. Ecco che, pertanto, sulle nuove generazioni vengono stesi giù sermoni da commentatori vari, tesi a sottolinearne ora la povertà linguistica ora gli stili di vita poco corretti. Vengono partorite dai politici etichette finanche offensive, leggendarie quelle ‘ministeriali’ di bamboccioni o quelle squisitamente ‘polettiane’. Esercizi puramente retorici, nelle Istituzioni, sono diventati i dibattiti sul bullismo, da sempre esistito, e che semplicemente ha oggi trovato una sua definizione, anche in relazione alla sua espansione sui social, cyrbullismo, fenomeno davvero deflagrante negli effetti. Si potrebbe elencare una galleria di casi emblematici di bullismo nel corso dei tempi, si pensi a due esempi su tutti e non ne parliamo più come novità: di bullismo è stato vittima Giacomo Leopardi che da ragazzino soleva camminare sfiorando i muri delle case di Recanati per evitare di essere accerchiato dai coetanei; di bullismo è stato vittima anche un ragazzo austriaco, che fu un giorno addirittura legato dai compagni ad un albero, schernito ed umiliato, passato poi alla storia in qualità di carnefice, Adolf Hitler.
Perciò, più o meno, i fenomeni e gli stereotipi sui giovani sono stati sempre gli stessi, se pur con varianti collegate al tempo storico di riferimento, sempre le medesime, le chiacchiere del mondo adulto, cullate tra nostalgia del passato e censura degli stili di vita del presente. C’è, invece, una cosa che rappresenta una novità e su cui val la pena riflettere per poter offrire risposte concrete: negli ultimi anni i ragazzi hanno perso carica e energia, lo scontro intergenerazionale in loro è quasi assente. La proverbiale, pure ingenua, volontà di potenza che ha connotato la gioventù, in alcune fasi storiche pure in modo dirompente, è implosa e si è trasformata o in fragilità e apatia o in volontà di ricerca; i ragazzi cioè o supinamente attendono, quasi in forma fatalistica, un qualche segnale di cambiamento tutt’intorno o lo ricercano non contro ma attraverso gli adulti. Da essi, in un modo e nell’altro, attendono cioè un punto di equilibrio e esempi autorevoli cui poter riferirsi con fiducia. Ora che tutto sembra essere semidistrutto si aspettano spunti per la ricostruzione in un mondo che appare ostile, certo ricco di tecnologia in cui non a caso s’immergono, ma povero di humanitas e di solidarietà. Se il materialismo li caratterizza, al pari dei loro vecchi, l’ aspirazione è cercare e trovare, attraverso un apporto maieutico da parte degli adulti, anche punti cardinali che possano fissare geometrie sul piano etico e educare sul piano spirituale e sentimentale. Il problema che però incontrano sul loro percorso è il nichilismo degli adulti. La ‘brutta bestia’ corrode e restringe orizzonti e visioni, si annida nella società adulta che non ha strumenti di ostetricia per far partorire le loro anime, ricche di confusa emozione. Ecco che così la società degli adulti è incapace di offrire uno scopo, di dare risposte ai perché, rea di aver depauperato un patrimonio culturale e umano in nome del denaro e della perizia tecnico-economica. A ben guardare gli adulti, l’avere e l’apparire hanno sopravanzato l’essere e così per i giovani il dover essere e il dover avere cozzano contro la realtà attuale : l’avere è stato realizzato con sempre maggiori sperequazioni, differenze e iniquità, tanto da poter lasciare poco o niente a loro in eredità, e l’essere è sparito agli occhi dei più; finanche molte scuole sono state invase dal mantra ‘progettifici dell’apparire e di apparato’. Neanche possono bastare quelle scuole o quei professori che si occupano di mantenere accesa la luce: la domanda supera inevitabilmente l’offerta. È così che ‘quell’ospite inquietante’ avanza dall’esterno, dal sistema, li accerchia, li invade, li comprime e li corrode dentro. Mancano valori, manca lo scopo, manca la risposta al perché, il futuro appare privo di promesse e pieno, invece, di minacce. E i genitori? A loro tocca il dolore di sopravvivere quando il nichilismo conduce addirittura al compimento dell’estremo gesto del suicidio. A loro, in questo caso crudele, è importante offrire questa chiave di lettura, che è un tendere la mano per abbracciare e indirizzare il tormento: aprirsi alla consapevolezza che la tragedia ha responsabilità collettive e non, tout court, individuali o familiari. La risposta concreta da dare ai giovani è invertire la rotta, una politica che incarni il bene comune, una organizzazione burocratica adeguata, adulti che nei diversi settori pubblici muovano a attuare i principi e i valori costituzionali, a partire da quella importantissima parola contenuta nell’articolo 2: solidarietà.

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