Uno accanto all’altro, con un bavaglio sulla bocca, le braccia incrociate. Gli sguardi fissi sulla telecamera che li inquadra. I giornalisti di Telemolise, Teleregione e Teletrigno hanno scelto di protestare così, ieri, contro la proposta di legge sull’editoria, approvata dalla Giunta Frattura e licenziata dalla IV Commissione consiliare. Una intera giornata senza telegiornali, senza informazione. Una iniziativa che non ha precedenti nel Molise: editori, giornalisti, operatori di ripresa: tutti contro una classe politica dimostratasi incapace di dare risposte concrete ed adeguate al mondo dell’informazione, che vive un periodo di crisi gravissima. Protesta alla quale si è affiancata la carta stampata, con i giornali andati in edicola listati a lutto.
Uno scontro durissimo che vede il mondo dell’informazione scendere in campo contro una legge considerata da più parti iniqua e penalizzante.
Al posto dei tg le immagini dei giornalisti col bavaglio, mentre una voce leggeva il comunicato congiunto delle tv private che pubblichiamo integralmente:
“Le emittenti private molisane protestano contro la legge per l’editoria che il consiglio regionale vorrebbe approvare nei prossimi giorni. E tanto più forte è la forma di protesta quanto più la legge in via di approvazione è inutile, iniqua, confusa, non commisurata alle reali esigenze di un settore che tutti — meno il governo regionale molisano – riconoscono di vitale importanza in una società moderna. Una legge che lascia fuori settori trainanti del mondo dell’informazione, realtà storicamente consolidate, aziende con decine di dipendenti regolarmente assunti e con importanti margini di sviluppo e di nuova occupazione, se solo fossero sostenute con misure economiche chiare e interventi efficaci. Il Consiglio Regionale del Molise si appresta invece a discutere un testo inutile, già licenziato in giunta e già approvato in quarta commissione consiliare, che con vincoli e costrizioni illiberali penalizza proprio le principali realtà editoriali, quelle che hanno rispettato le regole, hanno pagato le tasse e hanno stipulato contratti di lavoro secondo le piattaforme riconosciute dallo Stato italiano. Una legge partorita da una classe politica miope e ripiegata su se stessa, che quanto più teme il pluralismo e la libertà di informazione tanto più dimostra la sua debolezza, la sua coscienza sporca e il suo terrore di essere incalzata e valutata, soffocando un diritto fondamentale universalmente riconosciuto come indicatore privilegiato del grado di sviluppo e di civiltà di una Nazione”.