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giovedì, Marzo 28, 2024

Fondazione “Giovanni Paolo II”. Aneurisma dell’aorta addominale: nuovi metodi per la cura

AttualitàFondazione “Giovanni Paolo II”. Aneurisma dell’aorta addominale: nuovi metodi per la cura

Foto De Filippo e ModugnoL’aneurisma dell’aorta addominale è una dilatazione localizzata permanente dell’arteria che ne indebolisce la struttura. La rottura dell’aneurisma è un evento che causa 6000 morti ogni anno in Italia: in particolare, l’80% dei pazienti muore prima di giungere in ospedale, dove la mortalità degli interventi eseguiti in emergenza è del 50%. Un rischio che al contrario si riduce al 3%, quando il chirurgo vascolare può programmare l’intervento. Gli aneurismi  con un diametro superiore a 5 cm nella donna e 5.5 cm nell’uomo o in rapido accrescimento, cioè l’aumento di 1 cm di diametro entro l’anno, devono essere trattati chirurgicamente, per prevenire la rottura. In linea generale il rischio di rottura è tanto più alto quanto è più grande l’aneurisma. Le possibilità tecniche tradizionali di correzione preventiva dell’aneurisma sono due:  l’approccio chirurgico tradizionale a cielo aperto e il trattamento endovascolare, meno invasivo. Nella scelta tra i due approcci si deve tener conto delle caratteristiche anatomiche dell’aneurisma, ma anche dell’età, delle condizioni di salute generale. Entrambi offrono buoni risultati immediati ma a distanza sembrerebbe avere più benefici i pazienti trattati chirurgicamente. L’evoluzione tecnologica e la nascita di nuovi sofisticati materiali, ha permesso la realizzazione di nuove endoprotesi,  più durature nel tempo e  che permettono di trattare pazienti altrimenti inoperabili o ad alto rischio clinico.
Alla Fondazione di Ricerca e Cura “Giovanni Paolo II” nel Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, diretto dal dott. Carlo Maria De Filippo, è stata applicata una nuova procedura per il trattamento dell’aneurisma dell’aorta addominale, che prevede l’utilizzo di un’endoprotesi di ultimissima generazione. Si chiama NELLIX ed utilizza una particolare sostanza di sintesi per riempire la sacca dell’aneurisma per prevenirne la rottura. Questa metodica può essere praticata anche su pazienti un tempo inoperabili per via endovascolare e che, quindi, sarebbero andati incontro a conseguenze irrimediabili in caso di rottura dell’aneurisma.
L’equipe di Chirurgia Vascolare della Fondazione, coordinata dal dott. Piero Modugno, con la collaborazione del dott. Basso Parente, amico e chirurgo vascolare dell’Ospedale di Perugia, ha operato un uomo molisano di 83 anni, che a causa delle particolari condizioni cliniche non poteva essere trattato con le tecniche endovascolari normalmente praticate.
I dispositivi tradizionalmente disponibili per essere impianti necessitano di un tratto di aorta non malata di almeno un centimetro, questo spazio è necessario per ancorare la protesi in modo stabile, affinché possa rimanere fissa negli anni. Nei pazienti seriamente compromessi, non sempre vi sono queste condizioni.
Un altro “limite” di questi strumenti è che a causa delle loro dimensioni e di un certa rigidità strutturale l’accesso al sito di intervento potrebbe risultare difficoltoso e pericoloso. Questo è vero, soprattutto per le persone con anatomie tortuose dei vasi sanguigni. I nuovi dispositivi, invece, offrono invece una maggiore flessibilità, grazie ad un rivestimento idrofilo, ed una migliore navigabilità a livello dei vasi, consentendo di praticare interventi di tipo “sartoriali”, cuciti su misura, rispettando le anatomie e le tortuosità vascolari dei singoli casi.
L’aneurisma deriva da una dilatazione dell’aorta che ne indebolisce la struttura. Si crea una sorta di sacca di sangue che fa pressione sul vaso sanguigno fino a spingerlo alla rottura. Per evitare questo, si fa ricorso a questa procedura. Il meccanismo con cui agisce questa nuova endoprotesi prevede prima di tutto l’impianto di stant: due piccolissimi “tubicini”  che vanno a collegare direttamente l’aorta con le arterie,  escludendo la zona aneurismatica. A questo punto, la sacca, ormai quasi vuota, viene riempita con una speciale sostanza, detta polimero, che blocca, sostiene e protegge gli stant applicati.
Ciò impedisce la futura rottura e viene  ripristinato il regolare flusso sanguigno. Il risultato è minore invasività, maggior comfort per il paziente, minor dolore post operatorio.  La ripresa funzionale è rapida e la dimissione avviene dopo pochi giorni.
Sono pochi i Centri di Chirurgia Vascolare in Italia che praticano questa metodica, che è stata introdotta importata dagli USA nel 2014 nel 2015 anche in Italia.

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