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sabato, Aprile 20, 2024

Metti una sera a cena

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Di-Laura-Frattura-internadi OLIMPIA FRANGIPANE
L’ipotizzato tentativo di estorsione compiuto da un magistrato, in combutta con una giornalista, ai danni di un Presidente di Regione sarebbe un autentico abominio istituzionale, talmente grave da rimanere scolpito nella memoria di qualsiasi ‘vittima’ in modo indelebile.
Chi di noi avrebbe atteso oltre un anno per denunciare un crimine così immondo, invece di precipitarsi nella prima caserma utile?
E’ un episodio inquietante, ricordato dopo 14 mesi, la cui ricostruzione si basa unicamente sulla parola dei denuncianti.
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«Lasciamo che la giustizia faccia il suo corso». «Non conosciamo gli atti dell’inchiesta». «Ogni valutazione va sospesa: ci sono tre gradi di giudizio per arrivare ai colpevoli». «Il lavoro dei magistrati esige rispetto e attesa». «Il tempo è galantuomo» etc. etc.: così il sedicente garantista nostrano (e non) riesce ad apparire saggio e persino solenne senza sporcarsi neppure un’unghia nell’inchiostro dei dubbi, delle incongruenze e del più elementare buonsenso implicati in una vicenda giudiziaria con evidenti risvolti politici.
E perché mai ci sarebbe impedito di esprimere un giudizio sui fatti noti, pur rimanendo all’oscuro degli atti di un’indagine? Abbiamo forse smarrito la facoltà di metterci al posto degli altri, riconoscendone o meno come nostri i comportamenti e le reazioni – tanto più se incarnati da figure istituzionali con ruoli pubblici – di fronte a precisi fatti o reati?
L’ipotizzato tentativo di estorsione compiuto da un magistrato, in combutta con una giornalista, ai danni di un Presidente di Regione in carica, è, in sé, un atto di smisurata scelleratezza. Un autentico abominio istituzionale, talmente grave da rimanere scolpito nella memoria di qualsiasi ‘vittima’ in modo traumatico e indelebile.
Chi di noi avrebbe atteso oltre un anno per denunciare un crimine così immondo, invece di precipitarsi nella prima caserma utile, a fortiori se già in compagnia del proprio avvocato-testimone?
Chi di noi non avrebbe ricordato per sempre il giorno preciso di un simile misfatto, a maggior ragione ricoprendo una carica istituzionale zeppa di impegni pubblici in agenda facilmente associabili alla data di un evento abnorme di così laida eccezionalità? E se anche la memoria del Presidente e del suo avvocato-testimone Di Pardo si fosse inceppata simultaneamente, chi di noi non si sarebbe preoccupato di risalire con ogni mezzo e in ogni modo al giorno preciso del reato, incrociando date, eventi e impegni del mese di ottobre del 2013, prima di recarsi da un magistrato per sporgere denuncia? Non per altro: indicando la data esatta, può accadere che i tuoi aguzzini quello stesso giorno, alla stessa ora, si trovassero altrove, magari con decine e decine di testimoni…
E chi di noi riesce a immaginare un magistrato schivo come Fabio Papa, ostaggio dell’implacabile Erinni Petescia, che brandisce un documento come una clava urlando richieste di soldi e minacce di ritorsioni giudiziarie contro un integerrimo Governatore in presenza del suo legale di fiducia?
Ecco, a me sembra che questa vicenda sia uno di quei rarissimi casi in cui la possibilità di immedesimarsi negli atti/reazioni della supposta vittima, come nelle sue descrizioni dei presunti carnefici, sia negata in radice. Sullo sfondo, una dea vistosamente sprovvista di benda, che vola per le accuse vergate dai potenti di turno, ma produce piombo sulle ali delle plurime e reiterate domande di giustizia inoltrate dagli accusati. Sulla scena, un Presidente che professa il suo silenzioso rispetto per la magistratura – onorato alla lettera solo quando non gli conviene parlare – e poi ‘notifica’ ai diretti interessati, prima ancora della magistratura stessa, una richiesta di rinvio a giudizio con apposita conferenza stampa in una sede istituzionale. Un Presidente che ci propina i suoi lamenti sulla stampa nazionale circuita e ‘attivata’ da nemici e detrattori, e poi pretende di mantenere intatto il suo candore di martire dei media quando una giornalista di “Repubblica”, alle nove del mattino del 5 novembre scorso, dimostra di essere già in possesso della richiesta di rinvio a giudizio che il Presidente avrebbe annunciato due ore dopo in una conferenza stampa convocata un’ora prima che venisse pubblicato l’articolo. A proposito: quando è stata depositata la richiesta dal pm di Bari? Sarebbe davvero utile sapere il giorno preciso, così da verificare quanto tempo sia passato prima che il Presidente si decidesse a divulgarne con tanta impellenza la notizia proprio nel giorno in cui avrebbe invece dovuto esibire spiegazioni sulla “vicenda importante” (parole sue) della villa di Termoli. Che ne è di quei chiarimenti, che il Governatore ci aveva garantito avrebbe fornito “a breve”, considerandoli (al contrario dei suoi zelanti, patetici e servili alleati) “un dovere nei confronti di tutti i molisani”? Non pervenuti, inghiottiti dal silenzio e depennati dall’agenda politica. Con tanti saluti alle domande di interesse pubblico cui avrebbe dovuto rispondere: perché l’amministratore della sua società ha provato ad acquistare un immobile che il Presidente riteneva e ritiene già suo? Quali rapporti intrattiene con l’imprenditore sotto inchiesta Torzi? Quanto ha pagato la villa di Termoli di cui ha l’uso esclusivo? E come l’ha pagata? Con assegni, bonifici… può esibirli? Domande morte sull’altare barese.
In ogni caso, il Presidente ha davanti a sé una via maestra – certamente più solida e credibile della denuncia postuma di una cena estorsiva senza data – per chiarire ai molisani se l’indagine Biocom sia stata una rappresaglia giudiziaria o un’inchiesta fondata: tenga fede, per una volta, all’impegno assunto nell’intervista a Teleregione il 10 ottobre scorso e renda pubblici gli atti dell’indagine conclusasi con la sua archiviazione. Sarebbe un lodevole e doveroso contributo alla verità, in attesa che si pronuncino magistrati “soggetti solo alla legge”, come vuole la Costituzione: senza il sacro rispetto di una tale, esclusiva obbedienza, il tempo non è un galantuomo. È solo un vecchio villano che si presenta a morte civile avvenuta.

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