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martedì, Aprile 23, 2024

Expo 2015. Lo schiaffo del Molise alle Carresi, cancellate dal padiglione regionale

AperturaExpo 2015. Lo schiaffo del Molise alle Carresi, cancellate dal padiglione regionale
foto di Emi Curatolo
foto di Emi Curatolo

di PASQUALE DI BELLO

La grottesca partecipazione del Molise a Expo 2015, ben sintetizzata nel menu extraregionale servito alla cena di gala, trova ulteriori conferme. Tra queste, gravissima l’assenza delle Carresi all’interno del padiglione regionale. Un errore imperdonabile in un momento delicato e critico per le nobili tradizioni di San Martino in Pensilis, Portocannone e Ururi.

Se lo avessimo saputo prima, all’Expo di Milano ci saremmo andati col passamontagna calato sul viso e se qualcuno, passando, c’avesse chiesto: “Lei è molisano?”, noi a gesti, come nel gioco della briscola, avremmo sollevato una spalla per indicare lo stand della Bolivia. Tanta è stata la vergogna e, se ce lo consentite, la rabbia che abbiamo provato nel varcare la soglia dello stand molisano. Il paradosso è che da un lato pretendiamo di farci conoscere al mondo e dall’altro facciamo in mondo da nascondere al pianeta Terra le cose più belle e buone di cui disponiamo. Della cena di gala non diremo, tanto abbiamo già scritto e detto del ridicolo menù che è stato servito a circa centocinquanta commensali. Pietanze di ogni tipo, dal pecorino romano al pesce spada alla messinese, tranne che prodotti molisani. Quello che ci preme segnalare invece ai lettori, è come alla beffa gastronomica se ne sia aggiunta un’altra: quella alla Storia. Come se non fosse mai esistita, è stata cancellate l’immagine  più viva di tre popoli del basso Molise. Parliamo delle Carresi di San Martino in Pensilis, Portocannone e Ururi. I Misteri di Campobasso? La ‘Ndocciata di Agnone? La Fraglia di Oratino? Tutti presenti, tranne le Carresi.

Dovunque vi giriate nel padiglione molisano, non ne troverete traccia, né video né fotografica, né scritta ne parlata. Solo un breve e strampalato accenno all’interno della lunare brochure distribuita ai visitatori. Queste, testuali, le parole per sintetizzare mille anni di storia: “Nel basso Molise vi è un prodotto unico al mondo. Un prodotto che nasce dal fuoco. Il fuoco della competizione di una corsa di buoi, il fuoco di un peperoncino, le ore interminabili del maiale nei forni a legna. Il risultato è una pietanza morbida e intensa, che sa di tutta l’energia di un popolo che fa emergere la fora della terra dal sole”. Chiunque venga dal Molise, e chi il Molise lo ha frequentato, può ben capire come gli ignoti scrivani abbiano mescolato “il culo con le quarantore”, come direbbero a Firenze dove, si sa, non vanno tanto per il sottile. Nel maldestro tentativo di dire scrivere qualcosa, qualche idiota ben pagato ha mescolato la prelibatissima Pampanella di San Martino in Pensilis (carne di maiale speziata e cotta al forno secondo un’antica ricetta) e la Carrese. Due cose che stanno insieme sotto lo stesso cielo ma che hanno storia e origini diversissime e che, peraltro, non vengono nemmeno definite col nome proprio: “un prodotto che nasce dal fuoco … il fuoco di un peperoncino”; “una corsa di buoi”.

Ma del resto questo è quello che ci dobbiamo aspettare da una Regione che mette la cultura in fondo al sottoscala, tanto da aver preferito ad un assessore un semplice e inutile consigliere delegato, peraltro assente a Milano come tanti altri lorsignori spaventati dall’idea di doversi pagare il biglietto. Lo sfregio fatto alle Carresi fa ancora più male in questo tempo infame nel quale attorno a questa nobile tradizione dovrebbe stringersi l’abbraccio delle istituzioni. Ciò che sta accadendo in basso Molise – lo ripetiamo ancora – non è una battaglia giudiziaria ma una battaglia culturale: quella tra chi umanizzando gli animali pretende di sovvertire l’ordine della natura in nome di un fanatismo ottuso e cieco e coloro che, secondo natura, vivono il rapporto con gli animali e con il Creato in una perenne e rinnovata simbiosi. E’ la battaglia tra la lobby mondialista che vorrebbe cancellare ogni identità e la fiera lotta di popoli pronti a difendere con coraggio la propria storia e la propria memoria. E’, lo ripetiamo, una battaglia culturale e una Regione seria, degna della propria autonomia, è in termini culturali che si attrezza a farla e a vincerla, non delegando la materia a un budda di periferia e a quattro burocrati che mescolano insieme il culo con le quarantore. Ecco, noi adesso ci aspettiamo che Frattura ponga rimedio a questa schifezza, chiedendo conto agli autori di questa schifezza e poi, al prossimo Consiglio regionale, riferisca in aula. Possibilmente anche lui con passamontagna in testa, perché se è vero che la responsabilità materiale di questo sfregio nasce dalla ignoranza di qualche pelandrone imboscato e ben pagato, è altrettanto vero che la responsabilità politica è solo sua. Se ci fosse stato un assessore alla cultura e si fosse chiamato, chessò?, Franco Valente o Antonio D’ambrosio (ma anche altri) questa vergogna non si sarebbe mai verificata e il passamontagna potevamo conservarlo per le notti di gelo e tormenta.

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