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giovedì, Aprile 18, 2024

Il patto del Saraceno. Il PD molisano come la polenta

AperturaIl patto del Saraceno. Il PD molisano come la polenta

di PASQUALE DI BELLO

Il PD, figlio di una fusione a freddo tra ex comunisti ed ex democristiani, sta manifestando ogni giorno i propri limiti. Ultimo tra gli episodi, sul paino locale, la crisi al Comune di Isernia, ennesimo capitolo di una guerra tra correnti democristiane. Scomparsa la matrice comunista, il PD molisano è a totale appannaggio degli ex DC.

Come esiste quello del Nazareno, esiste anche il patto del Saraceno. E’ quello sottoscritto dal Partito democratico in Molise. Il PD locale, più di quello nazionale, non è un partito: è una polenta. E’ un partito saraceno, esattamente come il grano bruno, quello dal quale viene la farina per fare una specie particolare di polenta. Che sia quindi una sbobba, e per certi aspetti indigesta, non deve sorprendere. Un partito che nasce dalla fusione a freddo tra ex democristiani ed ex comunisti, non poteva che diventare quello che è: una polenta scudocrociata contrabbandata per formazione di sinistra. Come certi accoppiamenti tra bianchi e neri danno inevitabilmente figli dalla pelle scura, così le copule tra democristiani e comunisti non possono che generare figli del biancofiore. C’è chi nasce con la voglia di fragola o di caffè e c’è chi nasce con la voglia di biancofiore. Punto. Se guardate bene, è questa la caratteristica del PD molisano. Visti controluce, tutti i principali protagonisti hanno stampata sulla fronte o in qualche altra parte del corpo una voglia di Scudocrociato. Di cromosomi e DNA democristiano è il presidente della Regione, Paolo Frattura, lo stesso il segretario regionale del partito, Micaela Fanelli,  e per finire l’eminenza grigia del partito, il senatore Roberto Ruta. Di sinistra, quella storica e comunista, non c’è quindi nulla. Nemmeno Michele Petraroia, numero due della Regione, mai iscritto al PCI, e nemmeno Francesco Totaro, di provenienza PSDI. Restando in Consiglio regionale, di sinistra non è Domenico Di Nunzio, anche lui nato sotto il biancofiore (già segretario provinciale di un partitino della diaspora democristiana, UDC o CCD); di sinistra non è certamente l’assessore regionale Massimiliano Scarabeo, di giovanili simpatie destrorse. Non sono di storia comunista i sindaci delle principali città: Angelo Sbrocca a Termoli, Antonio Battista a Campobasso e Luigi Brasiello a Isernia. Chi ci resta quindi in quota alla sinistra comunista? Praticamente nessuno.

Allora non è il caso di meravigliarsi di quello che sta accadendo nel capoluogo pentro. E’ la classica guerra tra correnti democristiane, con l’aggravante però di non arrivare ad una sintesi, come invece avveniva nella DC, e quindi con la conseguenza di una conflitto infinito tra bande che andrà avanti sino al giorno del Giudizio. Prendiamo Frattura, ad esempio. Il presidente della Regione Molise, non è un mistero che rispedirebbe volentieri al mittente sia Scarabeo, al quale lo contrappone un’idiosincrasia reciproca ed evidente, sia Petraroia, assessore al Lavoro dai risultati totalmente deludenti e inconcludenti, avendo conseguito il poco invidiabile primato di aggravare tutte le crisi industriali del Molise. Frattura li manderebbe volentieri a casa, ma è costretto a tenerseli.

Come se ne viene fuori? Non se ne viene, semplice. In Molise la sinistra non esiste, a meno che non si vogliano considerare di sinistra i consiglieri regionali Ciocca e Ioffredi (anche loro non risulta vengano dal Pci) che stanno a qualsiasi forma di comunismo o di socialismo come la nona sinfonia di Beethoven sta al rumore di una padella. Ecco, se pensiamo a questi due Carnera della falce e del martello, e se guardiamo al deserto del campo avverso, quello del centrodestra, è facile capire perché il PD, pur essendo una polenta indigesta, continuerà a lungo a restare l’unica pappa sul mercato.

Poscritto. Non risultano iscritti al PCI o di provenienza comunista, nemmeno i parlamentari Danilo Leva e Laura Venittelli

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