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giovedì, Aprile 18, 2024

Frattura al bivio, tra buon governo e spinte populiste

AttualitàFrattura al bivio, tra buon governo e spinte populiste

di MICHELE TUONO

Paolo Frattura fra le pressioni degli alleati, l’esigenza di tenere unita la sua coalizione e il problema dei costi della democrazia

Alcuni episodi recenti (l’ennesimo articolo del Corriere della Sera sulla faccende molisane, e le voci polemiche che si sono sollevate prima sull’ipotesi di allargamento della giunta e poi su un possibile ingresso di nuovi consiglieri regionali) hanno fatto intravedere il bivio in cui il presidente della Giunta Regionale, Paolo Di Laura Frattura, rischia di venire a trovarsi in pochissimo tempo.

Da un lato, la necessità di trovare un assetto politico solido e coeso, che permetta di lavorare su un programma a lungo termine, con una maggioranza che solida e coesa, per sua natura, non è, e dunque richiede compensazioni, accordi, compromessi, aggiustamenti, con gli inevitabili costi (economici, materiali) che ne conseguono.

Dall’altro lato, il dover fare i conti con l’ondata populistica che ama esercitarsi in calcoli, quasi sempre sommari, spesso anche parecchio miseri, sulle spese, gli sprechi, i cosiddetti “costi della politica”, nell’ossessione che tutto si possa risolvere con i tagli e con il privare, il togliere, il sottrarre. E allora che si tratti di voler trovare adeguato spazio, con i relativi costi, a rappresentanti del popolo, forti di un cospicuo consenso ottenuto in democratiche elezioni, oppure che si tratti di sperperare pubblico denaro in ville al Circeo, Suv, merendine, pacchetti di caramelle e sacchetti di patatine, fa poca differenza. Tutto viene buttato nel calderone dell’antipolitica, del nichilismo estremo, della retorica più piazzaiola.

Frattura può dare un robusto segnale in senso contrario e spezzare questa spirale perversa, tirando dritto per la sua strada, rifiutandosi di ammansire la tremenda bestia dell’antipolitica e di saziare questo mostro insaziabile. Per il quale i cinque o sei milioni annualmente regalati in consulenze dal precedente governatore, gli otto milioni letteralmente buttati dalla finestra per il Termoli Jet, i due milioni distribuiti in incarichi e prebende per lo Zuccherificio, e i venti o trenta o cinquantamila euro dell’eventuale costo del quinto assessore – in nome di un non meglio chiarito “buon esempio”, come se la politica avesse il compito di essere “esemplare” – sono la stessa cosa, da affrontare con la stessa bava alla bocca, lo stesso livore, la stessa furia dissacratrice, lo stesso scandalo, le stesse prediche, lo stesso moralismo, la stessa gogna, la stessa voglia di innalzare forche, patiboli e pali della tortura.

Se Frattura vuole tornare alla politica vera, la politica che ha lo sguardo lungo, e prospettive che vadano oltre i calcoli dei ragionieri e le rampogne dei moralisti, e a quella politica vuole restituire il primato, deve disinteressarsi del dissenso vago e confusionario, molto peloso, che si solleva in queste occasioni. E deve disinteressarsi della stampa che se ne è fatta banditrice, tanto a livello nazionale quanto, e soprattutto, a livello locale. Una stampa con la coscienza non sempre pulitissima, e comunque quasi mai del tutto disinteressata, tra insondabili “consulenze per la comunicazione” e servizi di vario genere a questo o quell’altro consigliere regionale (in quel caso i costi per la comunità non contano). Per non parlare dei tribuni che sul moralismo, il giustizialismo e lo scandalismo strombazzato sui giornali hanno incardinato il loro programma, venendo fragorosamente puniti dagli elettori e definitivamente – si spera – messi da parte. A riprova che i cittadini sono interessati a tutt’altre cose.

Frattura può allo stesso tempo rivalutare un concetto cardine della moderna democrazia, un’idea che rischia di perdersi nelle paludi del qualunquismo, tra i feticci (lo scontrino, la fattura) e le moralistiche utopie (il “messaggio da mandare”, il “buon esempio”) che tanto ricordano “i caciocavalli appesi” nel cielo delle idee, di cui Benedetto Croce si serviva per illustrare il platonico iperuranio, insieme all’«ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie»: l’ideale, cioè, secondo Croce, «di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese». Cose che letteralmente non esistono, non si possono avere.

L’idea che Frattura deve rivalutare, senza buonismi, senza ecumenismi, senza ipocrisie, rivendicando il primato che gli viene dall’aver vinto le elezioni, è la seguente: la democrazia ha i suoi costi. Costa il palazzo dell’Onu, con i suoi vetri, gli arredi lussuosi, i velluti. È un luogo simbolo della democrazia, e non è sostituibile con criteri più utilitaristici, più funzionali. Non se ne può fare un ricovero per i numerosi e disperati senzatetto di New York, benché l’uso sembri all’apparenza più utile, più pratico, più umano.

Ma anche la democrazia ha regole pratiche e insopprimibili. Nulla può vietare a un consigliere regionale, nominato assessore, di dimettersi. Nulla può vietare al primo dei non eletti di subentrargli, perché le cariche rappresentative, guadagnate con il consenso popolare, non sono sostituibili in nessun modo. I costi che ne conseguono, se concepiti nel pieno rispetto delle leggi, quelle vere, e non delle regole dettate dalla piazza e dai censori dell’ultimo minuto, sono costi della democrazia. E contestare quei costi significa contestare la democrazia, o sacrificarla ai calcoli dei moralisti e dei ragionieri.

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